Descrizione
Località Torre Calzolari e Villamagna, Gubbio, Perugia, Umbria
Data 27 marzo 1944
Matrice strage Nazista
Numero vittime 7
Numero vittime uomini 7
Numero vittime uomini adulti 6
Numero vittime uomini anziani 1
Descrizione: Le vittime furono uccise da militari tedeschi durante la grande azione di rastrellamento condotta nella zona ad est e a nord di Gubbio dal Reparto esplorativo corazzato 103 (facente parte della 3. Divisione granatieri corazzati) e dal Battaglione pionieri paracadutato 4 (facente parte della 4. Divisione paracadutisti).
Fin dai primi di marzo del 1944 la GNR segnalava requisizioni da parte di ribelli presso negozi e abitazioni o proprietà di possidenti in molte parti del vasto territorio di Gubbio e dei Comuni situati lungo la strada statale Flaminia (Cantiano, Scheggia, Costacciaro, Sigillo, Fossato di Vico). Sempre a marzo si moltiplicarono anche gli attacchi alle caserme della GNR situate in questi territori. Rapporti del Comando della 102. Legione GNR di Perugia al Capo della Provincia segnalavano che «molti ribelli si annidano pure nelle montagne di Gubbio e di Nocera Umbra. L’attività dei predetti si svolge mediante omicidi, furti e rapine». È in questo scenario che maturarono gli eventi e si ebbe il 25 marzo il grosso scontro a Serramaggio, nei pressi di Cantiano, tra i partigiani della 5. Brigata Garibaldi “Pesaro”, aiutati dai partigiani della Brigata “San Faustino”, e i militari tedeschi; e poi il 27 marzo il grande rastrellamento in oggetto. In questo rastrellamento i reparti corazzati tedeschi erano coadiuvati, con una funzione marginale, dalle milizie repubblicane. L’obiettivo specifico era quello di colpire i partigiani e quanti li aiutavano. Stando alla carte tedesche, tutta l’operazione del rastrellamento del 27 marzo avrebbe prodotto l’uccisione di 57 partigiani, la cattura di 64 persone e la distruzione di 3 case fatte saltare (cifre analoghe conteneva anche il Promemoria per il Capo della Provincia, dove si evidenziava un «gran numero di nascondigli distrutti, notevoli quantità di fucili, pistole, munizioni ed esplosivi catturati»). Mentre a sera le persone catturate furono in gran parte rilasciate, il numero indicato delle persone uccise non corrisponde alla realtà; inoltre non furono presi né uccisi partigiani. Nella zona dove si svolse il rastrellamento la presenza partigiana era irrilevante. I militi tedeschi spararono sulle persone che non si fermavano all’alto là o che, in quei momenti di paura e di armi che sparavano, cercavano di nascondersi. I tedeschi non facevano accertamenti, ma sospettavano la presenza di partigiani dappertutto. Pertanto semplici e normali cittadini furono considerati ribelli. Colpisce l’efferatezza con cui le truppe germaniche si accanirono su questa povera gente, incutendo panico e terrore, dopo aver asportato spesso dalle case animali, grassi, salumerie, formaggi, uova ecc. o rubando qualche raro e prezioso gioiello.
Per il rastrellamento nella zona di Torre Calzolari, i militari tedeschi di buon mattino, una volta arrivati a Torre Castello, piazzarono una pattuglia con la mitraglia sopra il tetto della casa dell’oste, bloccando a sud chiunque volesse recarsi nella zona montuosa soprastante. Da nord, intanto, pattuglie calavano da Torre dell’Olmo verso Torre Calzolari. Secondo la relazione dell’allora parroco di Torre Calzolari, don Francesco Bianconi, i militari, giunti alle case coloniche dei vocaboli Coldelame 1. e 2. asportarono un bove, una vacca, prodotti di formaggio fresco e di suino; poi, più avanti, dalla casa colonica del vocabolo Palazzo presero due orologi d’argento, chili di strutto, uova; poi arrivarono al vocabolo Canonica 1°, abitato dal colono Sannipoli, e Canonica 2., abitato dal colono Nazzareno Lorenzi. In quest’ultima casa nel soffitto trovarono nascosti Amato Lorenzi e Adolfo Bicchielli, che, presi per ribelli, venivano subito uccisi; inoltre la casa veniva incendiata con tutto quello che vi era dentro; fu anche catturato un fratello di Amato Lorenzi, Giuseppe, che fu portato via insieme ad alcuni animali da stalla. Poi pattuglie arrivarono al vocabolo Cavallara, dove abitava la famiglia di Lamberto Anemone.
Secondo la testimonianza del figlio Evaristo (allora di anni 29), quella mattina Lamberto Anemone insieme ad un suo garzone si apprestava con un carro di buoi a portare grano al mulino, quando gli fu detto di tornare a casa e nascondersi, perché i tedeschi stavano rastrellando la zona. Tornato a casa, mentre il garzone rimetteva i buoi nella stalla, Lamberto avvertì il figlio Evaristo ed un altro figlio di nascondersi. Poco dopo arrivò la pattuglia tedesca (circa dieci militari), che cominciò a fare la perquisizione delle case. Lamberto si trovava di fronte alla casa padronale e stava aggiustando un aratro. Dal nascondiglio Evaristo e il fratello sentivano il padre che parlava con i militari tedeschi e spiegava loro che quella era l’abitazione del padrone, che risiedeva a Macerata. Noncuranti di ciò, i militari fecero saltare la serratura ed entrarono nella casa padronale; la perquisirono e dopo un po’ trovarono un fucile da caccia con parecchie cartucce. I soldati costrinsero poi la giovane moglie (appena ventenne) di Evaristo a cuocere per loro una ventina di uova e a versare vino nei bicchieri; dopo aver mangiato e bevuto, impadronitisi anche di alcuni salami, di lardo, di un paio di scarpe, di un orologio d’argento da taschino, questi militari partirono, portandosi dietro il fucile trovato in casa del padrone. Dopo circa un quarto d’ora arrivarono altri tre militari tedeschi, provenienti dai vocaboli Canonica 1. e 2., dove erano stati uccisi Amato Lorenzi e Adolfo Bicchielli. Anch’essi entrarono nella casa colonica e incontrarono la giovane moglie di Evaristo, che stringeva al petto la figlioletta di appena sei mesi. Poi usciti, si trovarono davanti Nazzareno Petrini Rossi (di anni 39), cognato di Evaristo. Con freddezza gli spararono e questi cadde riverso sulle scale. Il garzone degli Anemone, che era vicino e che indossava un cappotto militare, visto ciò tentò la fuga; spararono anche a lui, che, svelto riuscì a ripararsi dietro un muro e a nascondersi. Lamberto Anemone (che aveva 61 anni), vista l’uccisione del genero, provò a fuggire attraverso la porta della stalla conducente alla cantina: ma cadde perché un proiettile gli perforò il collo. Allora con brutale ferocia i militari tedeschi gli si avvicinarono e lo finirono, colpendolo di nuovo: un colpo gli fracassò il cranio. Di nuovo i tre militari controllarono la casa padronale, la stalla e la casa colonica, poi se ne andarono. Quando dopo un po’ Evaristo Anemone poté uscire dal suo nascondiglio e si avvicinò a dove erano le salme di suo padre e di suo cognato, vide con ribrezzo che una gallina stava becchettando il cervello di suo padre.
Secondo la relazione del parroco don Bianconi, militari tedeschi tornarono anche il giorno dopo, 28 marzo, fino ai vocaboli Canonica 1. e 2. Non uccisero persone, ma al vocabolo Canonica picchiarono con le casse dei fucili quelle persone, che erano andate a portare conforto ai familiari dei Lorenzi per gli uccisi del giorno precedente: inoltre, oltre ad essere picchiate, queste persone furono anche derubate dei pochi soldi che avevano in tasca. In questa incursione i militari tedeschi, passando per le case coloniche, portarono via altre bestie, galline, uccidendole; poi presero anche vino e quel vino che non potevano portare via per mancanza di otri o bottiglioni o damigiane lo versarono sul pavimento della cantina, dopo aver sfondato la botte, In alcune case pretesero soldi. Costrinsero, tra l’altro, il colono Luigi Vantaggi trasportare col proprio carro agricolo quelle bestie uccise sino alla strada principale, dove c’erano i carri militari tedeschi da trasporto.
Il rastrellamento nel territorio comunale di Gubbio colpì anche tre giovani ebrei. Questi erano provenienti da Firenze. La famiglia Guetta, costituita dai genitori, Dante e Irma, dai figli Alberto e Pierluigi e da altri tre figli più piccoli (due maschi ed una femmina), oltre all’amico Piero Viterbo, all’indomani dell’8 settembre si erano rifugiati, con documenti attestanti altre identità, a Rancana (Comune di Scheggia e Pascelupo) in un casolare riadattato per l’occasione, di proprietà di Tommaso Lupini, la cui figlia Dusolina era da tempo domestica dei Guetta a Firenze. Nel primo mattino del 27 marzo le pattuglie tedesche si inoltrarono nella campagna a sud di Scheggia lungo la strada che dal cimitero si dirige verso Rancana, e dato che in certi momenti spararono con le proprie armi, si avvertì che si era in presenza di un rastrellamento. Pare che i tre ragazzi ebrei allora si siano nascosti nei boschi vicini. Una pattuglia tedesca passò vicino alla casa abitata dai Guetta, ma non la perquisì. Alla domanda: «Avere armi?», formulata da un soldato tedesco, Dante Guetta rispose mostrando il bocchino usato per fumare. Sembra che il militare avesse a sua volta risposto «Ah, buono». Poi la pattuglia passò oltre. I tre giovani, una volta scoperti dai tedeschi, vennero portati in una casa nella zona di Villamagna nel comune di Gubbio, dove venivano concentrate tutte le persone catturate. Gran parte di queste persone furono liberate dopo sommari interrogatori. Ma non avvenne così per i tre giovani. Sembra che fossero fatti uscire come se fossero lasciati liberi, ma, mentre si avviavano lungo un viottolo, furono uccisi con una raffica di mitra e lì abbandonati (al vocabolo Bucosecco). Spaziani (nel 1947) ha scritto che essi destarono sospetti non per i documenti di identità posseduti, che apparvero regolari, ma perché trovati in possesso di forti somme di denaro e quindi ritenuti spie; altri hanno rilevato che, proprio in virtù dei documenti falsi, venissero ritenuti renitenti; altri ancora hanno osservato che i tre giovani furono trovati sprovvisti di documenti, con i vestiti rattoppati e che quindi destassero sospetti e per questo fucilati e lasciati senza sepoltura per alcuni giorni. Sicuramente nessuno degli assassini aveva scoperto che erano ebrei e nemmeno fu scoperta la rete di solidarietà che proteggeva la famiglia Guetta.
Infatti Dante Guetta e la moglie, una volta appurata la morte dei figli, temevano il ritorno dei tedeschi per sé e per le famiglie che li proteggevano e pertanto si rivolsero a Sebastiano Braccini, il cui fratello Carlo risiedeva a Gubbio ed era il Cancelliere della Curia Vescovile. Proprio nel palazzo vescovile i coniugi Guetta e gli altri figli trovarono così ospitalità. Nel frattempo il vescovo Beniamino Ubaldi affidò a monsignor Braccini l’incarico di procedere alla sepoltura dei tre giovani. Senza destare sospetti mons. Braccini denunciò alla Tenenza dei Carabinieri di Gubbio la morte di tre uomini sconosciuti; in Comune furono redatti i relativi atti di morte, come di persone sconosciute e così si poté avere dall’Ufficio di stato civile del Comune l’autorizzazione per la sepoltura dei tre cadaveri di ignoti nel Cimitero di Madonna della Cima e Villamagna. Passata la bufera della guerra, i Guetta vollero riportare le salme dei tre ragazzi nella loro città. Allora monsignor Carlo Braccini, con una dichiarazione resa in Pretura, attestò l’identità e le circostanze di morte e di seppellimento dei tre fucilati e così le tre salme poterono essere traslate nel cimitero ebraico di Firenze.
Modalità di uccisione: fucilazione,uccisione con armi da fuoco
Violenze connesse: furto e-o saccheggio
Tipo di massacro: rastrellamento
--> Per saperne di più sulle tipologie
Annotazioni: Altri civili perdono la vita nel vicino Comune di Scheggia e Pascelupo.
Note sulla memoria (per maggiori informazioni vedi la sezione apposita): Fin dagli anni Novanta nella scuola elementare di Torre Calzolari è ricordata la vicenda dei quattro civili uccisi nel rastrellamento del marzo 1944, anche perché la memoria è tenuta viva dal parroco don Ubaldo Braccini, che da ragazzo/seminarista è stato testimone dei fatti accaduti in quei giorni a Rancana/Scheggia. Tra la gente della frazione di Torre Calzolari l’uccisione è ricordata come l’eccidio dei Quattro Martiri di Torre, in analogia con la vicenda dei Quaranta Martiri di Gubbio. Dopo l’istituzione della giornata della memoria, anche la vicenda dei tre ragazzi ebrei viene ricordata nelle manifestazioni che si fanno nelle scuole del territorio.
Scheda compilata da Giancarlo Pellegrini
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Ultimo aggiornamento dei dati: 2016-01-31 17:32:27
Vittime
Elenco vittime
Anemone Lamberto, nato a Gubbio il 17/09/1883 e ivi residente, coniugato, colono.
Bicchielli Adolfo, nato a Gubbio il 23/01/1913 e ivi residente, celibe, colono.
Guetta Alberto, nato a Livorno il 06/01/1922, celibe, ebreo.
Guetta Pierluigi, nato a Livorno il 07/12/1925, celibe, ebreo.
Lorenzi Amato, nato a Gubbio il 26/07/1926 e ivi residente, celibe, colono.
Petrini Rossi Nazzareno, nato a Gubbio il 05/07/1905 e ivi residente, coniugato, colono.
Viterbo Piero, nato a Livorno l’11/02/1922, celibe, ebreo.
Elenco vittime civili 4
Anenome Lamberto.
Bicchielli Adolfo.
Lorenzi Amato.
Petrini Rossi Nazzareno.
Elenco vittime ebree 3
Guetta Alberto.
Guetta Pierluigi.
Viterbo Piero.
Responsabili o presunti responsabili
Elenco reparti responsabili
Panzer-Aufklärungs-Abteilung 103/3. Panzer-Grenadier-Division
Tipo di reparto: Wehrmacht
Appartenenza: Heer Wehrmacht
IV. Fallschirm-Pionier-Bataillon/4. Fallschirm-Jäger-Division
Tipo di reparto: Wehrmacht
Appartenenza: Luftwaffe
Memorie
Memorie legate a questa strage
commemorazione a Gubbio, cimitero di Torre Calzolari
Tipo di memoria: commemorazione
Ubicazione: Gubbio, cimitero di Torre Calzolari
Descrizione: Il 22 giugno di ogni anno, nel programma della commemorazione dei Quaranta Martiri di Gubbio, viene reso omaggio anche alle altre vittime del nazifascismo nel territorio eugubino e alla mattina viene portata una corona al cimitero di Torre Calzolari e deposta presso le tombe dove sono sepolti i quattro civili uccisi nel rastrellamento del 27 marzo 1944.
commemorazione a Gubbio, cimitero di Villamagna.
Tipo di memoria: commemorazione
Ubicazione: Gubbio, cimitero di Villamagna.
Descrizione: Il 22 giugno di ogni anno, nel programma della commemorazione dei Quaranta Martiri di Gubbio, viene reso omaggio anche alle altre vittime del nazifascismo nel territorio eugubino e alla mattina viene portata una corona al cimitero di Villamagna, dove furono sepolto i tre giovani ebrei e dove sono tumulate le salme di Salvatore Pascolini e di sua figlia Fernanda, ugualmente vittime nel rastrellamento del 27 marzo 1944.