VIA SLICETTO, CERVIGNANO, 15.02.1945

(Udine - Friuli-Venezia Giulia)

Descrizione

Località Via Slicetto, Cervignano del Friuli, Udine, Friuli-Venezia Giulia

Data 15 febbraio 1945 - 25 febbraio 1945

Matrice strage Fascista

Numero vittime 2

Numero vittime uomini 2

Numero vittime uomini adulti 2

Descrizione: I due partigiani facevano parte delle squadre GAP che orbitavano attorno all’Intendenza “Montes”. La “Montes”, che prendeva il nome dal nome di battaglia di Silvio Marcuzzi che ne era stato l’ideatore, venne costituita a Redipuglia nell’ottobre del 1943 ed era un’organizzazione partigiana che aveva l'incarico di mandare cibo, medicine e vestiario alle formazioni di montagna. Tra l’inverno e la primavera del 1944 l’Intendenza aveva allargato la propria portata operativa fino ai centri della bassa e della media pianura friulana, divenendo una delle organizzazioni più estese di tutto il nord Italia. La fitta rete afferente alla “Montes” costituita da intendenti e da squadre GAP (Gruppi di Azione Patriottica) che si muoveva in pianura alla ricerca di rifornimenti, facendo affidamento sulla collaborazione di commercianti industriali e proprietari che avevano per diversi motivi deciso di sostenere la causa, costituì da subito uno degli obiettivi più sensibili delle strategie repressive attuate soprattutto dai reparti collaborazionisti attivi nella bassa friulana e nel Centro di Repressione antipartigiana di Palmanova. Da sottolineare che sia il comandante dell’Intendenza che buona parte dei suoi collaboratori, ossia gli intendenti, avevano scelto di non girare armati con lo scopo di non spaventare i civili che decidevano di sostenere il movimento, rappresentando un unicum nell’assetto della Resistenza locale.
Il 15 febbraio dalla Caserma “Piave” di Palmanova era partito un rastrellamento organizzato dal comandante della 2ª Compagnia I Battaglione del V Reggimento della Milizia di Difesa Territoriale Ernesto Ruggiero, il quale, alla testa di un nucleo scelto di uomini, si apprestò a battere tutta la zona compresa tra Aquileia, Ronchi e Gradisca d’Isonzo. Vennero messi a segno in quella giornata decine di arresti che coinvolsero sia civili che partigiani da tempo conosciuti dai servizi informativi che orbitavano attorno al Centro di Repressione di Palmanova. Nel corso delle operazioni vennero uccisi sette partigiani e picchiate a sangue nelle loro case numerose persone accusate di intelligenza con i partigiani. Tra gli arrestati figurarono anche Gentile Valeri, catturato a Terzo d’Aquileia, e Mario Malner. Valeri, prima di essere trasportato alla Caserma “Piave” assieme agli altri arrestati venne sottoposto ad un primo violento pestaggio presso la Guardia di Finanza di Aquileia. Portati alla “Piave” la maggior parte dei fermati sarebbe stata sottoposta a sevizie e torture, che per Valeri e Malner ebbero fine solo il 25 febbraio quando, caricati su una camionetta, vennero portati in mezzo ai campi nei pressi di Cervignano. Fatti scendere vennero invitati a scappare ma, mentre correvano, una scarica di mitra li avrebbe uccisi. I loro corpi, abbandonati sul posto senza documenti d’identità, vennero ritrovati dalla polizia locale qualche ora dopo e portati alla cella mortuaria di Cervignano.

Modalità di uccisione: fucilazione

Violenze connesse: furto e-o saccheggio,sevizie-torture

Tipo di massacro: rastrellamento
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Estremi e note penali: Da diverse testimonianze emerse in sede processuale risulta che a partecipare alla fucilazione dei due partigiani furono i militi Remigio Rebez, Giuseppe Coccolo, Quinto Cragno e Giovanni Bianco
Tribunale di Udine, Fondo CAS Udine, procedimento n. 76/46 del reg. gen.
Il processo contro alcuni dei componenti della “Banda Ruggiero” venne celebrato dalla Corte Straordinaria d’Assise di Udine nel settembre del 1946. Le varie sedute d’udienza si svolsero in un clima molto teso, dato che ad innervosire il pubblico accorso in aula contribuì il comportamento degli imputati, i quali intonarono canti fascisti e si esibirono facendo il saluto romano. Per tali ragioni il giudice fu più volte costretto ad allontanare il pubblico e a continuare l’udienza a porte chiuse.
Ruggiero, Rebez e Rotigni (contumace) sarebbero stati condannati alla pena capitale. La pena sarebbe stata commutata nel 1947 in ergastolo e ridotta prima a 20 anni dal decreto di indulto del 9.2.1948 e poi a 19 per effetto di quello del 23.12.1949. Il 12 febbraio del 1954 la Corte d’Assise di Venezia applicò l’amnistia prevista dal decreto presidenziale del 19.12.1953 riducendo ulteriormente la pena a 5 anni.
Alessandro Munaretto, condannato in primo grado a 20 anni di reclusione, per effetto degli stessi indulti avrebbe prima ottenuto la decurtazione della pena e poi la libertà vigilata nel 1951, così come Bianco, Cragno e Turrin.
Tribunale competente:
Corte d’Assise Straordinaria di Udine

Scheda compilata da Irene Bolzon
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Ultimo aggiornamento dei dati: 2016-06-20 11:26:05

Vittime

Elenco vittime

Mario Malner “Franco”, di Francesco e Cernè Giovanna, nato a Monfalcone il 04.02.1926, partigiano.
Gentile Valeri “Pedro”, di Giordano e Gerion Angela, nato ad Aquileia il 1.5.1919, residente a Terzo, partigiano.

Elenco vittime partigiani 2

Malner Mario \"Franco\"
Valeri Gentile \"Pedro\"

Responsabili o presunti responsabili

Elenco reparti responsabili


Elenco persone responsabili o presunte responsabili


  • Giovanni Bianco

    Nome Giovanni

    Cognome Bianco

    Ruolo nella strage Autore

    Stato imputato in procedimento

    Note responsabile La 2ª compagnia del I Battaglione del V Reggimento della Milizia di Difesa Territoriale fu operativa all’interno della Caserma “Piave” di Palmanova, che a partire dal settembre del 1944 fino all’aprile del 1945 fu sede di uno dei più grandi centri di repressione antipartigiana della regione. Il centro di repressione era stato concepito dai comandi della SIPO SD di Udine per intervenire sulla situazione della Bassa Friulana, che nella primavera del 1944 aveva vissuto un notevole incremento delle attività partigiane, con l’istituzione di numerose squadre GAP, di un comando unificato tra le formazioni “Garibaldi” e “Osoppo” e dell’Intendenza “Montes”. Si trattò, per l’ampiezza del suo raggio territoriale d’azione, per la sua posizione strategica e per l’imponente attività repressiva condotta sul territorio, del centro di repressione più importante del territorio, assieme all’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza di Trieste, dove fu attiva la “Banda Collotti”. Alla guida del centro venne chiamato nel mese di settembre il comandante Herbert Pakebusch, nazista della prima ora, il quale ne delegò l’organizzazione concreta al tenente Odorico Borsatti, ventiquattrenne originario di Pola, che si trovava al comando di un plotone a cavallo di volontari italiani e tedeschi delle SS. Nel giro di breve tempo il giovane tenente avrebbe messo in piedi un efficiente sistema di funzionamento, caratterizzato da una ramificata rete di informatori e dall’applicazione di feroci torture sui prigionieri catturati, che gli consentì di mettere a segno decine e decine di arresti. A seguito del trasferimento di Borsatti, avvenuto alla fine del mese di novembre, arrivò nel centro un altro reparto, ossia la II compagnia del I battaglione del VI reggimento di Milizia di Difesa Territoriale (ex 63 ª Legione MVSN), costituito da una quarantina di uomini, tutti italiani, e comandato dal capitano Ernesto Ruggiero, napoletano, classe 1905. All’interno di questo gruppo si distinse ben presto un nucleo di una decina di uomini che per la particolare ferocia applicata nei metodi repressivi sia nei confronti delle bande partigiane che della popolazione civile, venne battezzata dalla voce popolare con l’epiteto di “Banda Ruggiero”. Tra di essi i nomi più implicati in fatti di sangue risultano essere quelli di Remigio Rebez (milite della X MAS, già appartenente al Battaglione “Nuotatori Paracadutisti” agli ordini di Nino Buttazzoni che era stato di stanza a Palmanova fino all’autunno del 1944, si era aggregato al gruppo di Ruggiero per continuare l’attività di repressione contro le bande partigiane), Giacomo Rotigni, Alessandro Munaretto, Alessandro Billa, Giuseppe Coccolo, Giovanni Bianco, Quinto Cragno, Giovanni Turrin, Antonio Piccini. I mesi che seguirono avrebbero fatto registrare un incremento delle violenze sia all’interno della Caserma che in tutti i territori della Bassa Friulana compresi tra Codroipo e Monfalcone. Quotidiani i rastrellamenti a danno della popolazione, ai quali seguivano sparatorie, arresti arbitrari e continue razzie. Continue erano anche le fucilazioni arbitrarie dei prigionieri i cui corpi, dopo giorni di torture, venivano abbandonati in mezzo ai campi. Ininterrotte le urla provenienti dall’interno della Caserma, che impedivano all’intero vicinato di trovare tregua e riposo. A testimonianza della imponente attività svolta sul territorio, il centro avrebbe registrato dal novembre 1944 fino ai primi di aprile oltre 500 prigionieri, di cui 113 segnalati come “morti a seguito di tentata fuga” (dicitura dietro alla quale si nascondevano decessi a seguito di torture, maltrattamenti e fucilazioni arbitrarie). I numeri sono tratti da un registro ritrovato all’interno della Caserma nei giorni della Liberazione, ma sono da considerarsi parziali dal momento che non comprendono partigiani e civili seviziati e uccisi durante le operazioni di rastrellamento e che tengono conto degli arresti e dei decessi avvenuti solo a partire dal mese di novembre. Il centro avrebbe cessato la sua attività per volontà dei comandi tedeschi di Udine che, una volta avviata un’inchiesta su quanto stava accadendo nella Bassa Friulana, disposero l’arresto di Ernesto Ruggero e di alcuni dei suoi uomini. La loro responsabilità era quella di aver agito senza rispondere ai comandi superiori della SIPO, provocando un inasprimento dello scontro con le formazioni partigiane e l’atteggiamento ostile dei civili nei confronti dei nazifascisti.

    Note procedimento Da diverse testimonianze emerse in sede processuale risulta che a partecipare alla fucilazione dei due partigiani furono i militi Remigio Rebez, Giuseppe Coccolo, Quinto Cragno e Giovanni Bianco Tribunale di Udine, Fondo CAS Udine, procedimento n. 76/46 del reg. gen. Il processo contro alcuni dei componenti della “Banda Ruggiero” venne celebrato dalla Corte Straordinaria d’Assise di Udine nel settembre del 1946. Le varie sedute d’udienza si svolsero in un clima molto teso, dato che ad innervosire il pubblico accorso in aula contribuì il comportamento degli imputati, i quali intonarono canti fascisti e si esibirono facendo il saluto romano. Per tali ragioni il giudice fu più volte costretto ad allontanare il pubblico e a continuare l’udienza a porte chiuse. Ruggiero, Rebez e Rotigni (contumace) sarebbero stati condannati alla pena capitale. La pena sarebbe stata commutata nel 1947 in ergastolo e ridotta prima a 20 anni dal decreto di indulto del 9.2.1948 e poi a 19 per effetto di quello del 23.12.1949. Il 12 febbraio del 1954 la Corte d’Assise di Venezia applicò l’amnistia prevista dal decreto presidenziale del 19.12.1953 riducendo ulteriormente la pena a 5 anni. Alessandro Munaretto, condannato in primo grado a 20 anni di reclusione, per effetto degli stessi indulti avrebbe prima ottenuto la decurtazione della pena e poi la libertà vigilata nel 1951, così come Bianco, Cragno e Turrin. Tribunale competente: Corte d’Assise Straordinaria di Udine

    Tipo di reparto fascista Guardia Nazionale Repubblicana

    Nome del reparto 2. compagnia/1. battaglione/5. Reggimento della Milizia di Difesa Territoriale

  • Giuseppe Coccolo

    Nome Giuseppe

    Cognome Coccolo

    Ruolo nella strage Autore

    Stato individuato sulla base di indagine o di procedimento italiano

    Note responsabile La 2ª compagnia del I Battaglione del V Reggimento della Milizia di Difesa Territoriale fu operativa all’interno della Caserma “Piave” di Palmanova, che a partire dal settembre del 1944 fino all’aprile del 1945 fu sede di uno dei più grandi centri di repressione antipartigiana della regione. Il centro di repressione era stato concepito dai comandi della SIPO SD di Udine per intervenire sulla situazione della Bassa Friulana, che nella primavera del 1944 aveva vissuto un notevole incremento delle attività partigiane, con l’istituzione di numerose squadre GAP, di un comando unificato tra le formazioni “Garibaldi” e “Osoppo” e dell’Intendenza “Montes”. Si trattò, per l’ampiezza del suo raggio territoriale d’azione, per la sua posizione strategica e per l’imponente attività repressiva condotta sul territorio, del centro di repressione più importante del territorio, assieme all’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza di Trieste, dove fu attiva la “Banda Collotti”. Alla guida del centro venne chiamato nel mese di settembre il comandante Herbert Pakebusch, nazista della prima ora, il quale ne delegò l’organizzazione concreta al tenente Odorico Borsatti, ventiquattrenne originario di Pola, che si trovava al comando di un plotone a cavallo di volontari italiani e tedeschi delle SS. Nel giro di breve tempo il giovane tenente avrebbe messo in piedi un efficiente sistema di funzionamento, caratterizzato da una ramificata rete di informatori e dall’applicazione di feroci torture sui prigionieri catturati, che gli consentì di mettere a segno decine e decine di arresti. A seguito del trasferimento di Borsatti, avvenuto alla fine del mese di novembre, arrivò nel centro un altro reparto, ossia la II compagnia del I battaglione del VI reggimento di Milizia di Difesa Territoriale (ex 63 ª Legione MVSN), costituito da una quarantina di uomini, tutti italiani, e comandato dal capitano Ernesto Ruggiero, napoletano, classe 1905. All’interno di questo gruppo si distinse ben presto un nucleo di una decina di uomini che per la particolare ferocia applicata nei metodi repressivi sia nei confronti delle bande partigiane che della popolazione civile, venne battezzata dalla voce popolare con l’epiteto di “Banda Ruggiero”. Tra di essi i nomi più implicati in fatti di sangue risultano essere quelli di Remigio Rebez (milite della X MAS, già appartenente al Battaglione “Nuotatori Paracadutisti” agli ordini di Nino Buttazzoni che era stato di stanza a Palmanova fino all’autunno del 1944, si era aggregato al gruppo di Ruggiero per continuare l’attività di repressione contro le bande partigiane), Giacomo Rotigni, Alessandro Munaretto, Alessandro Billa, Giuseppe Coccolo, Giovanni Bianco, Quinto Cragno, Giovanni Turrin, Antonio Piccini. I mesi che seguirono avrebbero fatto registrare un incremento delle violenze sia all’interno della Caserma che in tutti i territori della Bassa Friulana compresi tra Codroipo e Monfalcone. Quotidiani i rastrellamenti a danno della popolazione, ai quali seguivano sparatorie, arresti arbitrari e continue razzie. Continue erano anche le fucilazioni arbitrarie dei prigionieri i cui corpi, dopo giorni di torture, venivano abbandonati in mezzo ai campi. Ininterrotte le urla provenienti dall’interno della Caserma, che impedivano all’intero vicinato di trovare tregua e riposo. A testimonianza della imponente attività svolta sul territorio, il centro avrebbe registrato dal novembre 1944 fino ai primi di aprile oltre 500 prigionieri, di cui 113 segnalati come “morti a seguito di tentata fuga” (dicitura dietro alla quale si nascondevano decessi a seguito di torture, maltrattamenti e fucilazioni arbitrarie). I numeri sono tratti da un registro ritrovato all’interno della Caserma nei giorni della Liberazione, ma sono da considerarsi parziali dal momento che non comprendono partigiani e civili seviziati e uccisi durante le operazioni di rastrellamento e che tengono conto degli arresti e dei decessi avvenuti solo a partire dal mese di novembre. Il centro avrebbe cessato la sua attività per volontà dei comandi tedeschi di Udine che, una volta avviata un’inchiesta su quanto stava accadendo nella Bassa Friulana, disposero l’arresto di Ernesto Ruggero e di alcuni dei suoi uomini. La loro responsabilità era quella di aver agito senza rispondere ai comandi superiori della SIPO, provocando un inasprimento dello scontro con le formazioni partigiane e l’atteggiamento ostile dei civili nei confronti dei nazifascisti.

    Note procedimento Da diverse testimonianze emerse in sede processuale risulta che a partecipare alla fucilazione dei due partigiani furono i militi Remigio Rebez, Giuseppe Coccolo, Quinto Cragno e Giovanni Bianco

    Tipo di reparto fascista Guardia Nazionale Repubblicana

    Nome del reparto 2. compagnia/1. battaglione/5. Reggimento della Milizia di Difesa Territoriale

  • Quinto Cragno

    Nome Quinto

    Cognome Cragno

    Ruolo nella strage Autore

    Stato imputato in procedimento

    Note responsabile La 2ª compagnia del I Battaglione del V Reggimento della Milizia di Difesa Territoriale fu operativa all’interno della Caserma “Piave” di Palmanova, che a partire dal settembre del 1944 fino all’aprile del 1945 fu sede di uno dei più grandi centri di repressione antipartigiana della regione. Il centro di repressione era stato concepito dai comandi della SIPO SD di Udine per intervenire sulla situazione della Bassa Friulana, che nella primavera del 1944 aveva vissuto un notevole incremento delle attività partigiane, con l’istituzione di numerose squadre GAP, di un comando unificato tra le formazioni “Garibaldi” e “Osoppo” e dell’Intendenza “Montes”. Si trattò, per l’ampiezza del suo raggio territoriale d’azione, per la sua posizione strategica e per l’imponente attività repressiva condotta sul territorio, del centro di repressione più importante del territorio, assieme all’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza di Trieste, dove fu attiva la “Banda Collotti”. Alla guida del centro venne chiamato nel mese di settembre il comandante Herbert Pakebusch, nazista della prima ora, il quale ne delegò l’organizzazione concreta al tenente Odorico Borsatti, ventiquattrenne originario di Pola, che si trovava al comando di un plotone a cavallo di volontari italiani e tedeschi delle SS. Nel giro di breve tempo il giovane tenente avrebbe messo in piedi un efficiente sistema di funzionamento, caratterizzato da una ramificata rete di informatori e dall’applicazione di feroci torture sui prigionieri catturati, che gli consentì di mettere a segno decine e decine di arresti. A seguito del trasferimento di Borsatti, avvenuto alla fine del mese di novembre, arrivò nel centro un altro reparto, ossia la II compagnia del I battaglione del VI reggimento di Milizia di Difesa Territoriale (ex 63 ª Legione MVSN), costituito da una quarantina di uomini, tutti italiani, e comandato dal capitano Ernesto Ruggiero, napoletano, classe 1905. All’interno di questo gruppo si distinse ben presto un nucleo di una decina di uomini che per la particolare ferocia applicata nei metodi repressivi sia nei confronti delle bande partigiane che della popolazione civile, venne battezzata dalla voce popolare con l’epiteto di “Banda Ruggiero”. Tra di essi i nomi più implicati in fatti di sangue risultano essere quelli di Remigio Rebez (milite della X MAS, già appartenente al Battaglione “Nuotatori Paracadutisti” agli ordini di Nino Buttazzoni che era stato di stanza a Palmanova fino all’autunno del 1944, si era aggregato al gruppo di Ruggiero per continuare l’attività di repressione contro le bande partigiane), Giacomo Rotigni, Alessandro Munaretto, Alessandro Billa, Giuseppe Coccolo, Giovanni Bianco, Quinto Cragno, Giovanni Turrin, Antonio Piccini. I mesi che seguirono avrebbero fatto registrare un incremento delle violenze sia all’interno della Caserma che in tutti i territori della Bassa Friulana compresi tra Codroipo e Monfalcone. Quotidiani i rastrellamenti a danno della popolazione, ai quali seguivano sparatorie, arresti arbitrari e continue razzie. Continue erano anche le fucilazioni arbitrarie dei prigionieri i cui corpi, dopo giorni di torture, venivano abbandonati in mezzo ai campi. Ininterrotte le urla provenienti dall’interno della Caserma, che impedivano all’intero vicinato di trovare tregua e riposo. A testimonianza della imponente attività svolta sul territorio, il centro avrebbe registrato dal novembre 1944 fino ai primi di aprile oltre 500 prigionieri, di cui 113 segnalati come “morti a seguito di tentata fuga” (dicitura dietro alla quale si nascondevano decessi a seguito di torture, maltrattamenti e fucilazioni arbitrarie). I numeri sono tratti da un registro ritrovato all’interno della Caserma nei giorni della Liberazione, ma sono da considerarsi parziali dal momento che non comprendono partigiani e civili seviziati e uccisi durante le operazioni di rastrellamento e che tengono conto degli arresti e dei decessi avvenuti solo a partire dal mese di novembre. Il centro avrebbe cessato la sua attività per volontà dei comandi tedeschi di Udine che, una volta avviata un’inchiesta su quanto stava accadendo nella Bassa Friulana, disposero l’arresto di Ernesto Ruggero e di alcuni dei suoi uomini. La loro responsabilità era quella di aver agito senza rispondere ai comandi superiori della SIPO, provocando un inasprimento dello scontro con le formazioni partigiane e l’atteggiamento ostile dei civili nei confronti dei nazifascisti.

    Note procedimento Da diverse testimonianze emerse in sede processuale risulta che a partecipare alla fucilazione dei due partigiani furono i militi Remigio Rebez, Giuseppe Coccolo, Quinto Cragno e Giovanni Bianco Tribunale di Udine, Fondo CAS Udine, procedimento n. 76/46 del reg. gen. Il processo contro alcuni dei componenti della “Banda Ruggiero” venne celebrato dalla Corte Straordinaria d’Assise di Udine nel settembre del 1946. Le varie sedute d’udienza si svolsero in un clima molto teso, dato che ad innervosire il pubblico accorso in aula contribuì il comportamento degli imputati, i quali intonarono canti fascisti e si esibirono facendo il saluto romano. Per tali ragioni il giudice fu più volte costretto ad allontanare il pubblico e a continuare l’udienza a porte chiuse. Ruggiero, Rebez e Rotigni (contumace) sarebbero stati condannati alla pena capitale. La pena sarebbe stata commutata nel 1947 in ergastolo e ridotta prima a 20 anni dal decreto di indulto del 9.2.1948 e poi a 19 per effetto di quello del 23.12.1949. Il 12 febbraio del 1954 la Corte d’Assise di Venezia applicò l’amnistia prevista dal decreto presidenziale del 19.12.1953 riducendo ulteriormente la pena a 5 anni. Alessandro Munaretto, condannato in primo grado a 20 anni di reclusione, per effetto degli stessi indulti avrebbe prima ottenuto la decurtazione della pena e poi la libertà vigilata nel 1951, così come Bianco, Cragno e Turrin. Tribunale competente: Corte d’Assise Straordinaria di Udine

    Tipo di reparto fascista Guardia Nazionale Repubblicana

    Nome del reparto 2. compagnia/1. battaglione/5. Reggimento della Milizia di Difesa Territoriale

  • Remigio Rebez

    Nome Remigio

    Cognome Rebez

    Ruolo nella strage Autore

    Stato imputato in procedimento

    Note responsabile La 2ª compagnia del I Battaglione del V Reggimento della Milizia di Difesa Territoriale fu operativa all’interno della Caserma “Piave” di Palmanova, che a partire dal settembre del 1944 fino all’aprile del 1945 fu sede di uno dei più grandi centri di repressione antipartigiana della regione. Il centro di repressione era stato concepito dai comandi della SIPO SD di Udine per intervenire sulla situazione della Bassa Friulana, che nella primavera del 1944 aveva vissuto un notevole incremento delle attività partigiane, con l’istituzione di numerose squadre GAP, di un comando unificato tra le formazioni “Garibaldi” e “Osoppo” e dell’Intendenza “Montes”. Si trattò, per l’ampiezza del suo raggio territoriale d’azione, per la sua posizione strategica e per l’imponente attività repressiva condotta sul territorio, del centro di repressione più importante del territorio, assieme all’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza di Trieste, dove fu attiva la “Banda Collotti”. Alla guida del centro venne chiamato nel mese di settembre il comandante Herbert Pakebusch, nazista della prima ora, il quale ne delegò l’organizzazione concreta al tenente Odorico Borsatti, ventiquattrenne originario di Pola, che si trovava al comando di un plotone a cavallo di volontari italiani e tedeschi delle SS. Nel giro di breve tempo il giovane tenente avrebbe messo in piedi un efficiente sistema di funzionamento, caratterizzato da una ramificata rete di informatori e dall’applicazione di feroci torture sui prigionieri catturati, che gli consentì di mettere a segno decine e decine di arresti. A seguito del trasferimento di Borsatti, avvenuto alla fine del mese di novembre, arrivò nel centro un altro reparto, ossia la II compagnia del I battaglione del VI reggimento di Milizia di Difesa Territoriale (ex 63 ª Legione MVSN), costituito da una quarantina di uomini, tutti italiani, e comandato dal capitano Ernesto Ruggiero, napoletano, classe 1905. All’interno di questo gruppo si distinse ben presto un nucleo di una decina di uomini che per la particolare ferocia applicata nei metodi repressivi sia nei confronti delle bande partigiane che della popolazione civile, venne battezzata dalla voce popolare con l’epiteto di “Banda Ruggiero”. Tra di essi i nomi più implicati in fatti di sangue risultano essere quelli di Remigio Rebez (milite della X MAS, già appartenente al Battaglione “Nuotatori Paracadutisti” agli ordini di Nino Buttazzoni che era stato di stanza a Palmanova fino all’autunno del 1944, si era aggregato al gruppo di Ruggiero per continuare l’attività di repressione contro le bande partigiane), Giacomo Rotigni, Alessandro Munaretto, Alessandro Billa, Giuseppe Coccolo, Giovanni Bianco, Quinto Cragno, Giovanni Turrin, Antonio Piccini. I mesi che seguirono avrebbero fatto registrare un incremento delle violenze sia all’interno della Caserma che in tutti i territori della Bassa Friulana compresi tra Codroipo e Monfalcone. Quotidiani i rastrellamenti a danno della popolazione, ai quali seguivano sparatorie, arresti arbitrari e continue razzie. Continue erano anche le fucilazioni arbitrarie dei prigionieri i cui corpi, dopo giorni di torture, venivano abbandonati in mezzo ai campi. Ininterrotte le urla provenienti dall’interno della Caserma, che impedivano all’intero vicinato di trovare tregua e riposo. A testimonianza della imponente attività svolta sul territorio, il centro avrebbe registrato dal novembre 1944 fino ai primi di aprile oltre 500 prigionieri, di cui 113 segnalati come “morti a seguito di tentata fuga” (dicitura dietro alla quale si nascondevano decessi a seguito di torture, maltrattamenti e fucilazioni arbitrarie). I numeri sono tratti da un registro ritrovato all’interno della Caserma nei giorni della Liberazione, ma sono da considerarsi parziali dal momento che non comprendono partigiani e civili seviziati e uccisi durante le operazioni di rastrellamento e che tengono conto degli arresti e dei decessi avvenuti solo a partire dal mese di novembre. Il centro avrebbe cessato la sua attività per volontà dei comandi tedeschi di Udine che, una volta avviata un’inchiesta su quanto stava accadendo nella Bassa Friulana, disposero l’arresto di Ernesto Ruggero e di alcuni dei suoi uomini. La loro responsabilità era quella di aver agito senza rispondere ai comandi superiori della SIPO, provocando un inasprimento dello scontro con le formazioni partigiane e l’atteggiamento ostile dei civili nei confronti dei nazifascisti.

    Note procedimento Da diverse testimonianze emerse in sede processuale risulta che a partecipare alla fucilazione dei due partigiani furono i militi Remigio Rebez, Giuseppe Coccolo, Quinto Cragno e Giovanni Bianco Tribunale di Udine, Fondo CAS Udine, procedimento n. 76/46 del reg. gen. Il processo contro alcuni dei componenti della “Banda Ruggiero” venne celebrato dalla Corte Straordinaria d’Assise di Udine nel settembre del 1946. Le varie sedute d’udienza si svolsero in un clima molto teso, dato che ad innervosire il pubblico accorso in aula contribuì il comportamento degli imputati, i quali intonarono canti fascisti e si esibirono facendo il saluto romano. Per tali ragioni il giudice fu più volte costretto ad allontanare il pubblico e a continuare l’udienza a porte chiuse. Ruggiero, Rebez e Rotigni (contumace) sarebbero stati condannati alla pena capitale. La pena sarebbe stata commutata nel 1947 in ergastolo e ridotta prima a 20 anni dal decreto di indulto del 9.2.1948 e poi a 19 per effetto di quello del 23.12.1949. Il 12 febbraio del 1954 la Corte d’Assise di Venezia applicò l’amnistia prevista dal decreto presidenziale del 19.12.1953 riducendo ulteriormente la pena a 5 anni. Alessandro Munaretto, condannato in primo grado a 20 anni di reclusione, per effetto degli stessi indulti avrebbe prima ottenuto la decurtazione della pena e poi la libertà vigilata nel 1951, così come Bianco, Cragno e Turrin. Tribunale competente: Corte d’Assise Straordinaria di Udine

    Tipo di reparto fascista Guardia Nazionale Repubblicana

    Nome del reparto 2. compagnia/1. battaglione/5. Reggimento della Milizia di Difesa Territoriale

Memorie

Memorie legate a questa strage

  • museo a Caserma Piave di Palmanova

    Tipo di memoria: museo

    Ubicazione: Caserma Piave di Palmanova

    Descrizione: Presso la Caserma “Piave” di Palmanova, dove oggi sono ancora visibili quattro delle celle dove venivano eseguiti torture e interrogatori, per iniziativa del Comune, della Provincia di Udine e della Regione Friuli-Venezia Giulia è prevista la realizzazione del Museo Regionale della Resistenza. Nella parte esterna della Caserma è stata inoltre apposta una lapide in ricordo dei caduti riportante l’iscrizione “Qui, entro la cerchia della caserma “Piave” divenuta nel 1944 fino alla liberazione / del 1945, triste strumento di repressione e di morte al servizio dei nazifascisti, / centinaia di patrioti e di ostaggi furono costretti a immani sofferenze e supplizi / conclusisi per molti col martirio e con la morte. // Fra queste mura, uomini liberi e generosi in cospetto a torturatori e carnefici / seppero patire e morire affinché la prepotenza straniera e la oppressione interna / non dovessero più contaminare queste terre. // A monito e ammaestramento delle nuove generazioni // Il comune di Palmanova e l’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione del Friuli Venezia Giulia.\"

  • commemorazione a

    Tipo di memoria: commemorazione

    Descrizione: I due vengono ricordati assieme ad altri sei combattenti della “Montes” e dei GAP caduti presso la Caserma “Piave” anche dalla cerimonia che si tiene ogni anno ai primi di marzo presso Saciletto di Ruda e che costituisce uno dei più importanti e partecipa

Bibliografia


Irene Bolzon, Repressione antipartigiana in Friuli. La Caserma “Piave” di Palmanova e i processi del dopoguerra, Kappa Vu, Udine, 2012.
Alberto Buvoli, Franco Cecotti e Luciano Patat (a cura di), Atlante storico della lotta di liberazione italiana nel Friuli Venezia Giulia. Una resistenza di confine 1943-1945, IRSML, IFSML, Istlib Pordenone, Centro Isontino di Ricerca Leopoldo Gasparini, Trieste-Udine-Pordenone-Gradisca, 2005.
Bruno Steffè, La lotta antifascista nel basso Friuli e nell’Isontino, Vangelista, Milano, 1975.

Sitografia


Fonti archivistiche

Fonti

AS Udine, Fondo CAS Udine, procedimento n. 76/46 del reg. gen.
Archivio Storico dell’ANPI di Udine, b. 30, n. inv. 271.